Nato a Pula, in provincia di Cagliari nel 1911, dopo varie esperienze in Africa, sia lavorative che di cattività, tornerà nella sua terra di Sardegna per entrare, sotto la guida spirituale di San Pio da Pietrelcina, tra i frati minori cappuccini. Svolgerà molti incarichi tra i frati: cuoco, questuante, portinaio, ma diventerà ricercatissimo quando comincerà a ricevere la gente che arrivava da tutta la Sardegna, svolgendo la funzione di consolatore, ammonitore, guaritore e donando al popolo sardo i benefici dei suoi singolari carismi. Scomparso nel 1992 in fama di santità è attualmente in corso il processo di beatificazione.Dicono che Padre Pio rimproverasse i sardi che venivano da lui perché, diceva, “voi avete Fra Nazareno e potete rivolgervi a lui”.
Era stato proprio il frate di San Giovanni Rotondo, infatti, a cambiar la vita di quel ragazzotto sardo, che risponde al nome di Giovanni Zucca. Nasce a Pula (in provincia di Cagliari) il 21 gennaio 1911, sesto dei nove figli di un allevatore di bestiame che non lo lascia andare oltre la scuola elementare, perchè ha bisogno del suo aiuto per il lavoro in azienda. Che, tuttavia, per Giovanni non deve proprio essere il massimo, se a 25 anni decide di emigrare in Africa orientale, dove apre una trattoria che ha successo, soprattutto tra i soldati italiani là stanziati. Allo scoppio della guerra, Giovanni, la divisa militare se la trova addosso suo malgrado, arruolato tra gli artiglieri, e si ritrova con il grado di sergente.
Gli inglesi lo fanno prigioniero nel 1941 e lo portano in Kenia, dove resta per cinque anni. Umiliazioni e fierezza, raccontano di lui in quegli anni: le prime, comuni a tutti i prigionieri; la seconda, invece, vissuta a differenza degli altri, perché dicono che lui non si abbassa alle adulazioni e ai compromessi cui invece tanti si piegano per ingraziarsi i vincitori. Rimpatriato a fine guerra e ormai con 35 anni sulle spalle, deve pensare seriamente a cosa fare “da grande” e, tanto per cominciare, intensifica i rapporti con la ragazza con cui pensa di progettare il suo futuro.
Ed è proprio in questa fase che si affaccia in lui la vocazione religiosa. Va a chiarirsi le idee da Padre Pio, che dopo un’accoglienza un po’ burbera secondo il suo stile, lo rafforza nella vocazione: sarà cappuccino ma non, come vorrebbe, alla di lui ombra, bensì nella sua Sardegna. Eccolo dunque, a 39 anni suonati, varcare la soglia del convento di Sanluri, dove insieme all’abito gli danno anche il nome di Nazareno.
Per cinque anni si occupa di cucina, per la delizia del palato dei frati e proprio per evitare che questi si abituino troppo bene mandano il fraticello a far la questua, prima a Sassari e poi ad Iglesias. Qui, a contatto con la gente, si scoprono in fretta i doni umani che il Signore gli ha dato; anzi, qui e là cominciano a far capolino anche doni soprannaturali, di cui si sussurra al suo passaggio. Si sa che la gente è spesso credulona, facilmente influenzabile, sempre in ricerca del sensazionale e del miracolistico, dimenticando sovente che quasi sempre la “vox populi” è “vox Dei”. Fra Nazareno passa tranquillo e sereno per le strade a questuare, nulla facendo per alimentare queste voci, ma nulla trattenendo di quanto il Signore gli ha fatto dono.
Nel 1958 arriva a questuare sulle strade di Cagliari, sulle orme di Fra Nicola da Gesturi, appena passato a miglior vita e dalla gente ritenuto un santo (non a caso è stato proclamato beato nel 1999). Fra Nazareno, che in cuor suo si augura e si sforza di imitare il santo confratello, viene visto dalla gente come il continuatore della preziosa opera di Fra Nicola, che era passato per Cagliari facendo del bene. E questo nuovo fraticello non è da meno: a lui si ricorre per consigli, per intercessioni, per conforto; lui si dimostra paziente nell’ascolto, saggio nei consigli, con la capacità di leggere nei cuori e predire il futuro. Sono soprattutto le sue mani a operar meraviglie, anche attraverso le sue famose “caramelle benedette”, di norma al rabarbaro, che distribuisce a piccoli e grandi.
Decine e centinaia i casi di guarigione, spesso inspiegabile, dopo una semplice imposizione delle mani o uno guardo rivolto al cielo. Se da un lato queste sono come la “firma” di Dio sul suo operato, dall’altro sono anche quelle che tolgono la pace al povero convento cagliaritano, continuamente assediato dai suoi “povarelli”,malati nel corpo o nello spirito. Lo mandano così a Sorso, nel nord della Sardegna, ma la gente lo raggiunge anche là, col treno, in macchina e con gli autobus.
Dopo una decina d’anni di “esilio”, lo fanno tornare a Cagliari, assegnandogli una casupola un po’ discosta dal convento, sempre assediata da malati e bisognosi.
Muore il 29 febbraio di 20 anni fa e si calcola siano circa 40mila le persone venute a salutarlo per l’ultima volta: una specie di glorificazione popolare, anticipo di quella ufficiale cui sta lavorando la Chiesa, con il Processo iniziato nel 2003 e che pare attualmente trovarsi a buon punto.
di Gianpiero Pettiti